Intervento del Presidente Mattarella sulla libera informazione.

“Alla libertà di opinione si affianca la libertà di informazione, cioè di critica, di illustrazione di fatti e di realtà. 

Si affianca, in democrazia, anche il diritto a essere informati in maniera corretta. Informazione, cioè, anche come anticorpo contro le adulterazioni della realtà. Operare contro le adulterazioni della realtà costituisce una responsabilità, e un dovere, affidati anzitutto ai giornalisti".

Parole sante che, fatta salva la sovrabbondanza di princìpi, non fanno una piega in quanto tali; e poi il prestigio della cattedra dovrebbe distoglierci da qualunque altra opinione.

Ma in riferimento ai ‘fatti e realtà’ non è facile non prendere una posizione in seria disarmonia con tanto aulico intervento. In sintesi, la realtà sotto i nostri occhi più che rispettosa della corretta informazione appare piuttosto legata a doppia mandata alla sua “adulterazione”, e ancor meno “anticorpo” contro la stessa.

Fatte le debite eccezioni, alla luce di quanto costantemente propinano i mezzi di informazione a coloro che li leggono o ascoltano, accettarli come fedeli depositari e garanti delle caratteristiche che stanno a cuore al nostro Presidente sarebbe come affidare la pecora al lupo.

Naturalmente non mi riferisco alla libertà di opinione, individuale o collettiva, concorde o discorde, caposaldo del più insopprimibile dei diritti. È piuttosto alla corretta informazione che faccio riferimento, a quella parte, giudiziaria in primis, che scantona nella deleteria abitudine di crocifiggere tutto e tutti. Di trasformare il nulla, gonfiato a dismisura e falsificato senza ritegno omissivo della doverosa ricerca su fatti e posizioni favorevoli alla vittima sacrificale.

In Italia si dibatte di tutto, giammai delle vicende di vero pubblico interesse. Non si è ritenuto di farlo, per dirne una, con studiosi pro e contro le terapie adottate sul Covid pur trattandosi di grossi calibri contrapposti agli specialisti del carro istituzionale.

In sintesi, è la conclusione del richiamo del nostro Presidente che mi turba davvero, quel “responsabilità e dovere, affidati anzitutto ai giornalisti”. Una categoria molto rara, signor Presidente, che meriterebbe di venire epurata di quella moltitudine nient’altro che longa manus di un sistema dedito a confondere le acque.

L’ultima per dirne una sulla presidente Meloni che spende 8 mila euro al giorno per trascorrere le vacanze in un resort, in realtà al costo per tutta la compagnia vacanziera di gran lunga inferiore a tale boutade. Come del resto certificato dal proprietario della struttura.

Questa falsificazione la dobbiamo a ‘la Repubblica’, i cui editori ex Fiat omettono di parlare dei costi milionari delle loro vacanze, che mai si abbasserebbero a trascorrerle nella domestica Puglia.                

 Un’adulterazione, quindi, che per tanti giornalisti e per altri versi poggia sulla imprescindibile necessità di demolire il prossimo fidando sulla goduria popolare suscitata dal male altrui; e quindi avanti a briglia sciolta a raccontarne di tutti i colori. Grazie a veline in gentile concessione di investigatori interessati a diffondere le proprie conclusioni prive di riscontri, frutto del loro arbitrio e del chiacchiericcio da cortile sempre più dilagante, quando non sollecitato per le solite convenienze di bottega. Ben attenti a infangare a destra e a manca, purché in danno di soggetti designati colpevoli da chi senza scrupoli ha grandi chance di essere creduto. In una reciproca e grave complicità, quale quella di informare il pubblico su malefatte mai vagliate in un giudizio, sulla base di costruzioni che dell’obbiettività si fanno beffe.         

 

Al di là dei sapienti concetti, non sarà nemmeno la babele di quegli opinionisti, portatori d’acqua al mulino del committente, a farci accettare realtà immerse in un peccato originale difficile se non impossibile ignorare.

È il concetto del “cui prodest” che è ben chiaro nel mondo dell’informazione, ovvero della manipolazione più conveniente al potere di turno. Impensabile, infatti, che l’intera equipe di un quotidiano o settimanale si avventuri a scrivere qualcosa che confligga con gli interessi, o con il pensiero stesso del proprio padrone. Lo stesso dicasi per Radio e Televisione, di Stato o privata.

E poi ci sono i cercatori di scoop che si incaponiscono ad ipotizzare fino ad inventarsi l’inverosimile. In questo momento stanno fremendo in attesa di lanciare l’ipotesi attentato sul caso della sciagura del veliero affondato nel mare di Porticello.

Per non parlare della povera Sharon Verzeni e del suo compagno, con la loro vita in predicato di venire rivoltata come un calzino nel tentativo di candidare all’ergastolo il dormente Ruocco. Un vizio deleterio, insomma, che come certi Rotoloni non conosce fine.                                                                                                                                                                       “Panem et circenses”, fu la comoda trovata nell’antica Roma per distrarre le masse all’ombra delle complicità del potere. Tradizionali ed attesi spettacoli con il morto obbligato, “giocose” giornate di violenza con il finale della passeggiata socializzante lungo i fori imperiali.

Oggi non più spettacoli truci dal vivo, e tantomeno piacevoli convivialità paesane nel brusio dell’andirivieni lungo le strade cittadine, lontano ricordo cancellato di colpo dall’avvento dell’automobile. In loro vece programmi televisivi da godere comodamente seduti in poltrona a sgranocchiare di tutto, intenti a godere delle gratificanti notizie degli attesi scandali del giorno, attentati e bombardamenti a profusione in nome di supremazie consolidate o di colore della pelle, non potendo prendersela con il colore del sangue rosso per tutti. Efferatezze e femminicidi per buon peso, non sappiamo quanto stimolanti la continuazione della serie.

Quanto sarebbe più socialmente creativo se i giornalisti/cronisti si impegnassero nella diffusione dei modelli di esemplare positività, di gran lunga più numerosi in tanta parte del genere umano.    

La televisione, di stato e dei poteri che possono permettersi di possederne, tolto qualche programma culturale ha risolto la quadratura del cerchio. Con un popolo ansioso di godere delle novità del giorno in un’atmosfera di dimissione cerebrale intento ad azionare il telecomando alla ricerca della droga serale preferita. Confezionata ad arte per dirigerne il pensiero a completamento dell’opera giornaliera dello strumento portatile di controllo per eccellenza.

Eh sì, perché intercettazioni e microspie fanno il paio con le storture dell’informazione. Perduto il concetto del diritto alla propria riservatezza non rimane altro che l’impossibilità di coltivare ogni legittima ambizione. Sacrificati sull’altare dell’incapacità altrui di capire che deve esserci un modo nelle cose, che la scorciatoia di spiare per tirare a concludere alla meno peggio deve necessariamente cedere il passo ad altra professionalità.

Lo spionaggio, a prescindere dall’opportunità di operarlo non può che essere subìto come una vera e propria violenza privata. Uno strumento di creatività per gli adulteratori di cui diceva il Presidente.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

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