Mi rendo conto di avventurarmi in questioni apparentemente
di lana caprina, di avere la tigna di spaccare il capello. Il giornalista,
sempre citando le mie vicende, scrive in TP24 di una mia “frustrazione per
la ripetuta criminalizzazione dei media, senza solidi fondamenti o riscontri
recenti”. Non posso in questo caso che disapprovare
affermazioni di tal genere. Parlare di mia frustrazione è una maniera di
farla fuori dal vaso da parte del giornalista, che anziché divagare su
sentimenti lontani dalla mia psiche, potrebbe affrontare meglio il tema del
contendere.
Aggiunge e precisa nel contesto di appena un rigo del suo breve
concetto: “senza solidi fondamenti o riscontri recenti” come si
trattasse di farina del mio sacco. È il richiamo che mi attribuisce ai
riscontri recenti che mi fa sentire turlupinato. Me lo fa dire perché di
riscontri ve ne sono di vecchi? A seguito di sentenze che li certificano? Pubblicarne
gli estremi sarebbe stato il minimo da parte sua.
Sono certo, caro Giacomo, che lei non ignora che si tratta
di presunzioni mai approdate alla dignità di verità. Quella verità da cui non si
dovrebbe prescindere quando ci sono in gioco cose molto serie. Non si può
omettere il caso della banda dei vari Calcara, Spatola e Vaccarino, paludati di
verità rivelata, in cui fanno sapere al povero Borsellino che Gianfranco Becchina
aveva comprato i suoi beni per conto della mafia; e che tale infamia nata nella
mente di Vaccarino, confinante rosico della mia azienda agricola comprata a sua
insaputa, durò molto poco prima di finire archiviata per mancanza di riscontri.
La stessa mancanza di riscontri con cui fu etichettata la
sentenza relativa a quella parte dell’attuale procedimento datato 2017, che mi
vide nel giro di pochi mesi ugualmente oggetto di archiviazione per ipotesi di
mafia, lasciando in piedi la parte mirante alla confisca dei miei beni. Cesso,
quindi, di essere imputato per assumere la veste di “proposto” per la
confisca. È ormai ben noto che agli effetti delle misure di prevenzione non si
possono sequestrare beni se la procedura non è abbinata all’accusa di mafia.
Stranamente, però, una volta caduta questa rimane in piedi l’altra della quale
già in partenza si occupa un altro tribunale che procede per proprio conto. Una
davvero “marchingegnosa” operazione in cui non si può dire che brilli la
logica. Non mi si poteva processare senza l’accusa di mafia che una volta
esclusa misteriosamente non mi riporta allo stato quo ante: all’impossibilità
di sequestrare i miei beni in assenza di mafia. Posso solo dire grazie per il fatto
che non mi vestono più da imputato. I giornalisti che comprensibilmente vanno
di fretta “arrunzanu”, fanno di tutta l’erba un fascio e fanno diventare
mafioso il proposto per misura di prevenzione.
Ci sarebbe anche quel “la sua verità sul sequestro dei
beni” con cui titola il suo pezzo. Non crede che sarebbe più corretto parlare
di ‘replica’ sul sequestro dei beni? Proprio da lei non me l’aspettavo dopo
aver apprezzato il linguaggio dei suoi scritti pubblicati in volume. Fra i due
che conosco, c’è quel bellissimo “Dormono sulla Collina”, capolavoro della
letteratura americana del secolo scorso. Una geniale trovata quella di essersi
ispirato ad Edgar Lee Master per fotografare magistralmente la realtà del
nostro paese. Un autore di cui conobbi l’opera forse appena tradotta, attorno
ai primissimi anni 60, se la memoria non m’inganna.
Forse potrebbe riflettere sui fatti che sconvolgono la
Sicilia, terra dove lei opera, che andrebbe difesa da una criminalizzazione ossessiva.
Quando ossessiva dovrebbe essere la ricerca di cause e concause di tragedie di
lunga, lunghissima data. Qualcosa da non lasciare alle opinioni esterovestite
di chi ci sguazza. Non può essere un compito della sola magistratura. La
trasparente limpidezza delle buone menti può fare una grande parte.
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