Dal quotidiano on line TP 24

“Importante operazione eseguita dalla Direzione Investigativa Antimafia con il sequestro di beni inestimabili a Gianfranco Becchina”. 

Non si capisce se il giornalista conosce bene la definizione di beni “inestimabili”, o, quantomeno, ha la competenza per definirne l’importanza sia in termini di valore venale che di pregio. Lo scrive, plausibilmente per amore delle definizioni altisonanti al pari dei suoi sodali nella professione. 

Per definire inestimabili delle antiche anfore di terracotta, che da tempo immemorabile vengono pescate assieme ai pesci nelle profondità marine, prive di alcunché di particolare che non sia il fascino delle concrezioni secolari, ce ne vuole davvero di forzatura. Forse sarebbe opportuno chiarire, per meglio comprendere di cosa parliamo, che dopo l’utilizzo come contenitori di olio, vino e alimenti vari altro non rappresentavano che dei vuoti a perdere.         Nell’antica Roma venivano persino utilizzate come drenaggio nei lavori edili. Fuori dal mare se ne contano a milioni in Italia e in tutti i paesi del Mediterraneo. Nei depositi dei musei, al pari della varietà di ceramiche e terrecotte non esiste possibilità di continuare a contenerne. In ogni caso devo ribadire che le anfore in questione rispettano i crismi della mia proprietà. E non perché lo dico io, ma in virtù di fior di documenti nel rispetto delle nostre leggi amministrative e fiscali.

Lo stesso vale per il basamento in marmo, meno prezioso di quanto si vuole sostenere, tant’è che il precedente proprietario, un industriale collezionista, lo teneva unitamente ad altri reperti marmorei come arredo del suo giardino. Fin quando ha venduto il tutto ad un gallerista dal quale l’ho acquistato, importato e sdoganato, proprio perché l’ho ritenuto molto interessante per decorare il mio salone. 

Definirlo di valore inestimabile vorrebbe dire considerarmi un perfetto incompetente per averlo introdotto in Italia, dove avrebbe necessariamente perduto il suo valore per gli effetti del regime vincolistico vigente sulle antichità. 

Dopo tanto riepilogo esplicativo vorrei chiedere al direttore della testata TP24 se non riesce a trovare di meglio, per farsi leggere, che rispolverare vicende legate a presunzioni di miei legami di mafia. Presunzioni iniziate oltre trent’anni addietro ad opera del povero Borsellino, influenzato da pentiti del calibro di Calcara e Spatola, che in stretto connubio con il mafioso Vaccarino, confinante “rosico” della mia tenuta (particolare che la dice tutta), sostennero che i miei beni erano stati acquistati per conto della mafia. Il tutto smentito rapidamente con archiviazioni chiarificatrici. Immancabilmente, per ogni propalazione dei pentiti in voga e di giornalisti cacciatori di scoop i giudici hanno dovuto prendere atto della mancanza di riscontri. Se il direttore Di Girolamo ritiene di potere con sicurezza argomentare in negativo e in totale arbitrio su fatti categoricamente esclusi in giudizi di merito, ha il dovere di recarsi nelle cancellerie dei Tribunali di Svizzera e Sicilia passando per quelli di Roma, per estrarre copia dei giudizi finali che mi riguardano. I soli in base ai quali un giornalista coscienzioso dovrebbe trarre giudizi. Non può assolutamente farlo basandosi sulle pastrocchiate veline degli organi investigativi, considerandole prove di colpevolezza. Sempre attenti a sorvolare sulla inesistenza di condanne a carico del loro costantemente dilaniato strumento di discutibile legittimazione.  

Questo non è dare notizie, è dedicarsi alla diffamazione pura. A processi sommari fuori dall’aula dei tribunali. Nella sfrontatezza della loro arroganza orientata verso la criminalizzazione ad oltranza. 

 Sempre fuori dal binario del loro ruolo che non deve poter esondare dalla ricerca della verità. Così come per i giudici è quello di stabilirla e per gli investigatori di trovare colpevoli, purtroppo spesso anche a prescindere. 

Un imperativo deontologico al quale i giornalisti lontani dal gossip si attengono scrupolosamente. E di questi non ne mancano. Sono i pennivendoli allo stato brado che non si rendono conto dello sconquasso sociale che determinano nel processare le persone fuori dai tribunali a furia di detto da tizio e sentito da caio.

Come nell’America dei Western, o nei tribunali della Santa Inquisizione, quando si incitava a giustiziare i presunti colpevoli troppo velocemente. Anche nel passato giudiziario del nostro paese, oggi come ieri di condanne sbrigative ne abbiamo una casistica non indifferente. Molte, per chi ne ha memoria, determinate dal gossip investigativo e giornalistico: caso Enzo Tortora per tutti. 

Lo stesso che porta alcuni miei concittadini ad indicarmi come il depredatore di Selinunte. Ignari, per volontà omissiva di chi dovrebbe invece spiegare che agli atti ci sono fior di perizie che dicono il contrario. Perizie effettuate da una equipe di prestigiosi archeologi della soprintendenza di Roma, che sulla scorta della completa e rigorosa documentazione della mia Galleria in Svizzera escludono che fra tutti i reperti da me posseduti, acquistati e venduti, fotografati e restaurati, ve ne siano che riconducano alla Sicilia. Non solo quindi a Selinunte, ma alla Sicilia tutta. 

E questo è qualcosa di ben noto, che però non è riuscito a mettere la parola fine alla deleteria malignità degli spargitori di fango. Degli affossatori della sicula economia. 

Rigorosamente chiusi a recepire e pubblicare nella loro completezza le repliche alle loro perfidie, decidono di tagliarle e svilirle a loro piacimento. Alla maniera dei giornali cartacei che adducono problemi di spazio, inesistenti nel web. Per buona conoscenza di chi ritiene di avere il diritto di sintetizzare il pensiero altrui, il rispetto del contenuto di una replica non può che rappresentare un fatto di buona creanza.  

Buttare infine nel calderone concetti riferiti a “indagini patrimoniali che hanno messo in luce una significativa sproporzione tra le fonti di reddito dichiarate da Becchina e gli investimenti effettuati dalla sua famiglia” vanno classificati quali menzogne a tutto tondo. Di chi le sostiene e di chi le riporta senza operare alcuna verifica. Le mie fonti di reddito abbondantemente provate contraddicono quello che altro non rappresenta che uno strafalcione di chiunque lo sostenga. Qualcosa buttata lì per buon peso. Le trasparenti risultanze contabili operate dai periti del Tribunale esistono e parlano chiaro. 

Detto in sintesi, questi atti con i quali mi sto confrontando meritano, a ben riflettere, una particolare attenzione da parte mia. Alla luce della loro irrisorietà mi chiedo se non preludano a un crescendo di malevola e diabolica artificiosità finalizzata a qualcosa d’altro dopo avere vestito di mafia quello che altro non è mai stato che un mercante d’arte. 

Non riesco a comprendere il battage mediatico urbi et orbi, basato sul nulla assoluto nella consapevolezza degli organizzatori. Per dirla con il poeta “Oggi sento nel cuore un vago tremore di stelle…”.

                 

 


Commenti