Nel momento in cui si ipotizza l'avvento di Mario Draghi nel mondo
politico europeo ripropongo una mia vecchia opinione sul personaggio, governatore all'epoca della Banca D'Italia
Martedì 9 agosto 2011
Il governatore Draghi e la mafia
Non saremo sicuramente in pochi ad esser convinti che la mafia - nei
confronti della quale, sia preliminarmente detto a scanso di equivoci, non sto
ipotizzando sconti di alcun genere – possa anche avere la funzione di comodo
paravento per organizzazioni parallele da essa totalmente autonome,
tradizionalmente annidate, in giacca e cravatta, nei punti nevralgici della
società in cui viviamo.
Una convinzione riaffiorata in me recentemente ascoltando e leggendo di un
convegno organizzato alla Statale di Milano, nel corso del quale il Governatore
della Banca d’Italia, Mario Draghi, nell’analizzare la crisi economica italiana
ne ha attribuito una gran parte di responsabilità alla mafia e alla sua
penetrazione nel mondo imprenditoriale.
Questa affermazione, pur non essendo apparsa supportata in modo particolare
con dati concreti che non fossero i riferimenti a vaghe risultanze di
rilevazioni bancarie, è ovvio che merita di essere recepita seriamente. Anche
se qualche riserva, alla luce dell’imprecisata incidenza mafiosa nel mega
contesto imprenditoriale, di per sé stesso non certamente affollato di
cherubini, avrebbe anch’essa un certo senso. Così come avrebbe senso stabilire,
una buona volta, fino a che punto la mafia brilla di luce propria negli
ambienti in cui si sostiene che operi - dalla Sicilia alla City leghista
passando per la Calabria e la Campania - e se possiamo attribuirle la
primogenitura oltre che l’esclusiva del malaffare.
Passiamo, dunque, a quello che mi fa mettere in discussione la correttezza
analitica, nonché quella tout court, del Governatore Draghi e dell’istituzione
che presiede. Infatti, il dottor Draghi non fa il minimo accenno al fatto che,
prim’ancora della crisi economica, il mondo è stato colpito da quella
finanziaria che a sua volta ha determinato la seconda. Crisi, entrambe,
manifestatesi con caratteristiche di fondo similari nelle piazze finanziarie
mondiali ma, per qualche aspetto particolare, da queste molto dissimili in
quella italiana. Nel nostro paese, infatti, i cosiddetti “Titoli Spazzatura”
del mondo intero, assieme ai famigerati Bond argentini, Cirio, Parmalat e ogni
altro marchingegno finanziario, sono stati spacciati senza ritegno dalle
primarie banche italiane ai loro ignari clienti-risparmiatori con procedure e
sotterfugi che definire banditeschi è già molto generoso. Non a caso dico
spacciati, in quanto si è trattato di prodotti finanziari di fumosa paternità,
dilaganti sul mercato speculativo, con la principale caratteristica di
risultare, in termini di mediazione, altamente remunerativi per le banche.
Prodotti, il cui acquisto veniva particolarmente raccomandato, da bancari
attivissimi in questo genere di promozioni, persino alla clientela con modesta
disponibilità di fondi e senza alcuna esperienza nel settore degli
investimenti.
In sintesi, le banche italiane - contrariamente, per esempio, a quelle
americane molte delle quali si sono bruciate direttamente e pesantemente –
hanno cavalcato l’onda delle diaboliche follie di una macro finanza
prestidigitatrice, inducendo dissennatamente i risparmiatori a rischiare
nell’acquisto di titoli privi di senso e di garanzie che non fossero
rassicuranti sorrisi. Pur consapevoli, i nostri istituti bancari,
dell’esplosivo che maneggiavano, hanno sciaguratamente ignorato l’assurdo
rischio che certi investimenti rappresentavano per i loro clienti. E non sempre
le cose nella loro impudenza sono andate in questo modo. È avvenuto anche di
peggio. Qualche banca, infatti, pericolosamente esposta verso talune famigerate
aziende, ne ha organizzato la truffaldina emissione di titoli al solo scopo di
appiopparli agl’ignari risparmiatori per incamerarne il corrispettivo a
copertura delle loro sofferenze. Di conseguenza, ben sapendo che le aziende
erano finanziariamente decotte, hanno trasferito sulla clientela quelli che per
loro erano diventati crediti senza avvenire.
Gli istituti di credito italiani, quindi, hanno potuto evitare la
catastrofe finanziaria, lo Tsunami che ha dilaniato quelli di mezzo mondo, non
esclusi alcuni dei più prestigiosi, a spese del prezioso risparmio della gente,
di quell’insostituibile sostegno dell’economia del paese oltre che
legittimazione della loro stessa ragion d’essere. Quegli stessi istituti che,
imperterriti e impuniti, guardando a nient’altro che alla loro sopravvivenza,
oltre all’artificio di portare in bilancio crediti inesigibili (che fa, lo
ignora il governatore Draghi?) continuano a proporre nuovi investimenti, sulla
falsariga dei precedenti, a quei pochi risparmiatori sopravvissuti in quanto
rovinati solo a metà. E non è tutto. Impossibilitati come sono a finanziare i
loro stessi costi, per la mancanza di quelle risorse derivanti in passato dalla
gestione di quanto hanno dissipato, si inventano balzelli di ogni genere,
ultimo dei quali un “pizzo” sui prelevamenti di danaro contante, a titolo di …
grave abuso della loro posizione dominante. Un ulteriore espediente predatorio
degli eterni manipolatori del risparmio, finalizzato ad apportare linfa nel
vuoto causato da una impudente scelleratezza.
In conclusione: sarebbe ora che certi poteri abbarbicati a metodi e
privilegi fuori del tempo smettessero di deviare i fatti con notizie sparate
alla rinfusa del tipo adottato dal Governatore nel buttarla in mafia, passe partout
per quelle illegalità attribuibili anche a quell’altra mafia, altrettanto
perniciosa, che egli finge di non conoscere pur essendo essa ben radicata nella
grande famiglia che governa. E allora, una rinfrescatina alla sua memoria è
quello che ci vuole per lui. E non solo alla sua, di memoria. Non ci si può
accontentare, penalmente parlando, dell’arringa di grande effetto del
rappresentante dell’accusa al processo Tanzi e nemmeno della severa condanna di
quest’ultimo. Le prove della politica nefasta delle banche sono lì, a portata
di mano, per chi le volesse fare emergere veramente in tutta la loro gravità.
Sempreché, oltre ai tabulati che riguardano Berlusconi, si volessero acquisire
quelli della miriade di conti dei cittadini italiani che, zitti perché persino
vergognosi della loro dabbenaggine, ignari di Bond, Derivati, Sub prime e via
elencando, hanno visto volatilizzarsi i loro averi ad opera di coloro che
avrebbero dovuto custodirglieli se non proprio farli fruttare.
Purtroppo, gli
annacquamenti del disastro e le rassicurazioni sulla presunta solidità del
sistema creditizio italiano si sono succeduti a ritmo incalzante, senza che il
governatore Draghi, che avrebbe potuto sin dall’inizio parlare di mafia,
uscisse dal suo assordante silenzio per rendere edotti, costasse quel che
costasse al sistema, i poveri risparmiatori e i cittadini tutti su quel che era
avvenuto. E, soprattutto, denunciare come tale la canagliata di quelle banche
che hanno preso il fuoco con le mani degli inconsapevoli clienti. Quelle stesse
banche che ancora oggi continuano a sollecitare i loro clienti a speculare,
dispensando ovattati consigli sul titolo più opportuno da comprare, con l’aria
di svelare notizie preziose e riservate. Chissà, vien da chiedersi, se parliamo
di un mondo anch’esso aperto al fenomeno del pentitismo: ne potremmo sentire
delle belle. Potrebbe, per cominciare, e senza scomodare la Consob o i revisori
o certificatori di bilanci che siano, prendere la parola il governatore Draghi
per allargare il suo intervento sul crimine organizzato dopo essersi guardato
meglio attorno. Approderebbe, senza allontanarsi più di tanto, anche a quella
mafia che azzerando i conti dei risparmiatori ha causato un danno irreparabile
al paese e al suo divenire.
Castelvetrano 14 aprile 2011
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