Gianfranco Becchina: “Caos nella politica italiana”

(già pubblicato in Marsalanews.it in data 15 dicembre 2016)

 

 

“C’è da rimanere frastornati dalla mole dei commenti dopo il successo del No alla tentata pesante manipolazione della nostra Costituzione, che per lunghi mesi ha polarizzato l’attività della classe politica nella sua totalità. Oltre i limiti della decenza potremmo dire, se volessimo soffermarci su qualche amara considerazione verso le tante impellenze che ci opprimono e ci angosciano. Ma non è il caso in questo contesto.

Ci basti aver preso atto che al colpaccio tentato con audacia davvero sconsiderata, il popolo ha risposto per le rime. Fortunatamente con la serena consapevolezza del proprio ruolo sovrano, nella totale assenza di tensioni fuori dalle righe.

Diciamo che siamo rimasti tutti fraternamente calmi, pur in presenza dell’impudente e sconclusionato progetto, finalizzato a scongiurare con la vittoria del SI l’avvento incombente dei grillini; e, ciliegina sulla torta, a ipotecare il potere a tempo indeterminato.  

È stato, però, rassicurante, oltre che esaltante, constatare tanta maturità nella nostra gente. A parte i soliti Media, che, fra una contraddizione e l’altra, con in testa gli stessi che fino a ieri osannavano il povero Renzi, si sono abbandonati al consueto crucifige. Accorgendosi solo dopo il trionfo dei fedeli alla Costituzione dell’inadeguatezza di un personaggio che, convinto di poter compiere grandi gesta, è rimasto impantanato nella sua inconcludenza.

 Qualcuno ha trovato nobile il suo discorso dopo la sconfitta, persino apprezzando le sue emozioni velate di sentimenti tumultuosi, quasi rancorosi. Ma a ben guardare è sembrato perfettamente in linea, nei toni, con quello zeppo di amor filiale tenuto alla Camera dalla ex ministra Boschi in difesa dell’operato del padre scoperto con le mani in pasta nei disastri bancari che hanno fatto strage di tanti, troppi, fiduciosi risparmiatori.

Agli inizi della sua avventura, Renzi, veniva considerato da qualcuno troppo giovane per il ruolo che si era prepotentemente ritagliato. Ma un riferimento più fascinoso, più beneaugurante, poteva condurre verso l’ancor più giovane Alessandro Magno al tempo in cui aveva già conquistato il mondo intero, liberandolo, secondo lui, dalla incultura; e perché no? a Gesù Cristo, più che mai di grande attualità. Sorvolando, ovviamente, sul fatto che per entrambi le ascendenze divine facevano grande gioco.     

Dopo questo sonoro flop lascerà Renzi il campo, o, come il suo ex sponsor del Quirinale – e com’è nel suo personale stile – continuerà a spaccare il partito col pretesto che il Paese ha bisogno di lui?

Cessato il grave pericolo che finora ha rappresentato per la Costituzione, e considerando sotto ogni punto di vista la sua incapacità ad occuparsi di politica, sarà difficile che la passi liscia al momento del congresso del Partito Democratico in programma a breve. Diciamo che, incassato il primo benservito, il secondo dovrebbe arrivare a stretto giro di posta.

E non sarà il suo sostituto, a capo di un vero e proprio governo fantoccio e precario, a poter organizzare qualcosa di buono in un’Italia che non ci appartiene più, preda consolidata ormai dei famelici potentati economici che, giorno dopo giorno, dai quattro punti cardinali della terra, piombano in casa nostra per fare razzia dei gioielli di un patrimonio alla deriva.

Privo di ogni equilibrio, ma campione nei colpi di coda – Bersani e Letta insegnano – Renzi si è dimostrato lontano mille miglia dall’arte di governare; bravo solo ad impasticciarsi con le sue sparate e i suoi referendum.

È proprio il caso di dire che “chi di referendum ferisce – e viene da pensare alle trivelle – di referendum perisce”. Si morderà le mani per aver pensato ad una tale folle iniziativa anti-costituzione che, se non l’avesse ottenebrato la paura di quel diavolo di Grillo, avrebbe potuto benissimo, con ottime speranze di lunga vita politica, cavalcare l’onda del suo notevole gradimento della prima ora.   

Ha, invece, pensato di blindare, barando, il potere appena conquistato, rimettendoci penne e reputazione.

Il personaggio ha senza alcun dubbio capacità di performance notevoli. Andava a briglia sciolta sparando convincenti concetti di sinistra, ma ben attento ad allinearsi sulle posizioni di quella “razza padrona” di scalfariana memoria che avrebbe potuto fare polpette di lui e delle sue ambizioni.

Possiamo dire che si è tenuto lontano dal credo della sinistra, nella consapevolezza che la stessa non potrà mai avere un grande avvenire come forza di governo, nata com’è, diciamolo obiettivamente per quanti non se ne fossero ancora resi conto, come forza di opposizione.  

Quella straordinaria forza di opposizione e di pressione ad un tempo, che, tenendosi in Italia giudiziosamente lontana da mire di potere, che non avrebbe mai potuto gestire, ha traghettato, pur tra mille scossoni, il mondo del lavoro dalla miseria del dopoguerra al benessere quasi generalizzato che fino a ieri abbiamo conosciuto.

Tutt’altra cosa di quello che è avvenuto in Unione Sovietica dove, abolito il capitalismo in nome di una socializzazione delle risorse, la sola conquista possibile è stata quella dell’immiserimento progressivo di intere popolazioni.

Il comunismo sovietico, infatti, consegue il disastroso risultato che sappiamo, vittima com’è del peccato originale di aver voluto perseguire utopie egualitarie assimilabili a veri e propri miracoli, impossibili da organizzare e raggiungere in questo mondo. 

Esattamente il contrario di quel che avviene con la religione cattolica, per esempio, tanto affine ai concetti della sinistra populista che promette gli stessi miracoli, ma con il distinguo non proprio banale che se ne potrà godere solamente nell’aldilà.

Ed ecco spiegato il crollo del progetto sovietico avvenuto dopo appena sette decenni dalla grande rivoluzione, mentre la fede religiosa tiene banco da due millenni grazie alla totale assenza di qualsiasi smentita.

Detto in breve, per non tirarla alla lunga: se in Italia la sinistra rientrasse nell’alveo delle proprie competenze, lasciando perdere quel motore di progresso che è la ricchezza degli altri, e ricominciasse a fare il cane da guardia dei diritti inalienabili dei lavoratori, favorirebbe senz’altro con forte impulso una ripresa economica e sociale di cui abbiamo un grande bisogno.  Risultato che potrebbe conseguire rinunziando all’arte di governare in favore di quelli che lo sanno fare.

Prevarrà adesso il buon senso che riconduca il Paese verso governi espressi dal popolo? Vogliamo, tutti quanti, renderci conto che la mitica Babele, già vivibile in anteprima nei dibattiti televisivi, è dietro l’angolo?

Gianfranco Becchina”



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