Nulla di nuovo sotto la nebbia che avvolge la stampa italiana.

 Lo scorso 8 febbraio è toccato a “la Repubblica” mostrare la decadenza alla quale in pochi divulgatori di notizie purchessia riescono a sottrarsi. Il peccato è quello di esaltazione di notizia e di concomitante omissione di fatti.

Nel caso specifico, il quotidiano, sotto lo stretto controllo della improvvisamente chiacchierata famiglia Agnelli per le vicende legate a capitali in nero esterovestiti, dà notizia dell’assoluzione della giornalista Valeria Ferrante in un processo che la vedeva querelata dal sottoscritto per le sue considerazioni fuori le righe nei miei confronti.

Il processo inizialmente svoltosi presso il Tribunale di Marsala vide la Ferrante condannata. Per i soliti misteri procedurali, in fase di ricorso la sede di Marsala non fu ritenuta competente a giudicare i fatti. Il processo, passato a Palermo per competenza, si è dunque risolto con una sentenza di assoluzione.

Un processo che ha visto la Ferrante sostenere la sua difesa con l’ausilio del solito coacervo di posizioni investigative e di stampa, corroborate dal nulla in termini di riscontri.

Pari quindi per la giornalista: una condanna ed una assoluzione. Per quel che mi riguarda invito la Ferrante e il responsabile de “la Repubblica” a fare una ricerca minuziosa  di condanne a mio carico.

Che dire quindi alla redazione de “la Repubblica”, se non esprimere la mia delusione nel continuare a vedere quella che un tempo fu una prestigiosa fonte di notizie, e di opinioni, impantanata nel fango dell’arroganza di un potere purtroppo sempre più squalificato.

Questa volta, come da inveterata usanza, si è trattato di un’omissione di fatti per miseri favoritismi di bottega. Si parla di assoluzione della Ferrante senza dare notizia della precedente condanna. Tutto il contrario dei casi in cui conviene amplificare i sentito dire. O “crucifige” altrimenti detti.

Per quel che riguarda la testata, la redazione potrebbe rispolverare le acrobazie fiscali del precedente “Patron” De Benedetti, che fra residenza Svizzera e pagamento in acconto delle imposte dovute all’Italia non si capisce dove e quando ha pagato la differenza.

Questo in alternativa alla continua diffamazione nei miei confronti che sino a prova contraria sono stato oggetto solamente di assoluzioni. Giammai di condanne di sorta per le mie attività commerciali e non. Controllare per credere.

Escludendo le masturbazioni cerebrali di un mondo vergognosamente diffamatore, sarebbe molto opportuno che i sodali si muniscano di uno straccio di sentenza prima di spargere il proprio veleno.

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